Era la fine di marzo del 1983, il signor Itchek se lo ricorda bene. Il centro convegni della sua città ospitava un'iniziativa che a prima vista poteva dirsi interessante. O almeno lo era per Guglielmo Mannucci, che che aveva poco più di vent'anni ed era appena diventato il signor Itchek. L'iniziativa si intitolava Dal tunnel della droga puoi uscire e quello lì al microfono era il prete e quelli sulla destra e sulla sinistra gli apostoli, ex-tossicodipendenti freschi freschi. In platea la moltitudine plaudente dei genitori e molti altri “protagonisti” del percorso di recupero.
Fu un lampo. Il signor Itchek capì immediatamente che ammesso che uscire dal tunnel della droga fosse così problematico – e questa metafora del tunnel veniva offerta a piene mani – ammesso che uscirne fosse davvero possibile, la questione era anche un'altra: uscirne per andare dove? Il prete sembrava molto sicuro di quello che diceva, e metteva in campo i valori come il generoso dispensiere di uno spaccio alimentare: “vita”, “famiglia”, “persona”, “amore”, “dio”, “senso”, “umanità”, “insieme”,“autenticità” - “Quanto gliene faccio di 'famiglia'? Le bastano due etti?”. Il pubblico partigiano batteva le mani nell'invasamento e innalzava inni di gratitudine. Il signor Itchek invece aveva paura. In qualche modo, quella sera si beccò anche dello stupido, perché uno psicologo lì presente – di quale scuola? - disse che in fin dei conti, “provare una droga”, era un segno di curiosità... e chi non ne era tentato nemmeno un pochino voleva dire che forse si rivelava un po' ottuso, anzi, quasi sicuramente scemo. Insomma, diciamoci la verità: drogarsi, diventare tossicodipendente e poi smettere e andare a parlare con la voce cavernosa dentro a un microfono... pareva proprio fico! Quindi chi si era perso nel tunnel della droga – e dài il tunnel! - doveva uscirne, perché uscire si poteva... guarda qua se si poteva! Per andare dove? continuava a domandarsi però il signor Itchek. Per approdare alla vita autentica dei valori, stava dicendo da un'ora il prete. E cioè questa qui, tutta questa vita di questa gente che ti circonda e ti abbraccia come un profondo mare, questa calda e morbida comunità come la mamma tua.
Ci furono i contributi dalla platea, molti e molta commozione, fino al pianto a dirotto. L'acqua salata delle lacrime saliva minacciosa. Nessuno osò mettere in discussione la bontà. A un certo punto il signor Itchek non ne poteva più – già allora non ne poteva più... - avrebbe voluto agguantare il microfono e dire: “Io, mi dispiace, non mi sono ancora fatto. E quindi, di sostanze psicotrope, non ho alcuna esperienza. Però non credo di sbagliarmi: voi siete davvero strafatti, e di sicuro più tossici di prima”. Non osò: era timido, e poi aveva paura di essere linciato dalla bontà. Si alzò dalla scomoda seggiolina di formica e uscì nel pieno degli osanna.
E così il signor Itchek ha attraversato tutti gli anni ottanta, e poi i novanta, e poi la prima decade del 2000... senza nemmeno ciucciarsi un misero spinellino, poveretto. Rimedierà nella vecchiaia, come vuole Platone. Ora è solo, e vive ignorato - lui e pochi altri come lui che purtroppo stenta a conoscere. La strada, già in quella fine di marzo dell'83, diventava stretta: da una parte i cattivi, i soliti cattivi – drogati di roba, di soldi, di violenza, di consumo – e dall'altra i buoni , i guariti, i disintossicati - pieni di valori e di calore umano un tanto al chilo. Anche loro molto tossici, e ugualmente pericolosissimi. Almeno per il coraggio del libero pensiero.
giovedì 24 giugno 2010
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Pubblico volentieri un altro contributo del signor Itchek, che mi sembra in linea con lo spirito di Dolls.
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