Donatella Talini

Donatella Talini

giovedì 3 febbraio 2011

Il signor Itchek interviene su "la miseria di Silvio"

Il signor Itchek vuole riflettere sulla miseria di uno degli uomini più ricchi del globo, Silvio Berlusconi. Gli viene in soccorso quello che Babette dice alla fine del pranzo e del film: “Un artista non è mai povero”. Ecco, l'esatto contrario vale per Silvio Berlusconi, che per il signor Itchek incarna quanto di più lontano esista dalla grandezza - un uomo escluso totalmente dalla benedizione della poesia e dell'arte. E' per questo che il poverino non fa che camuffarsi e dissimulare: nel profondo si vergogna della sua miseria, quella vera, e per quanto “apicelli” e cammini sui trampoli, lui lo sa che la grazia sta sempre dalla parte opposta del suo annaspio. Se la vita non finisce con la morte si può star certi che Babette, in paradiso, “incanterà gli angeli” - anche questa è una battuta del film. Il signor Itchek immagina invece che Berlusconi in paradiso non ce lo faranno entrare, almeno che non accetti il consiglio che i dulciniani imponevano ai ricchi: penitenziatige! Di sicuro, come si racconta in qualche barzelletta, lui chissà che cosa intrallazzerà per essere “ingressato” da san Pietro. Ma il signor Itchek esclude che i barzellettieri si possano guadagnare il paradiso con le battute di spirito.

Però siamo ancora qui, sulla terra fatta di terra, e bisogna stare in guardia. Gli uomini che rimangono esclusi dal tocco della grandezza, fosse soltanto per una volta nella vita e per una briciola di poesia, risultano infatti assai pericolosi. Li rode l'invidia, per esempio, e allora battono i piedi come i bambini e urlano “perché io no? perché io no?” - e fanno di tutto per abbassare il mondo intero alla loro indigenza. Si circondano di adulatori prezzolati pronti a leccare qualsiasi sozzume, ma lo sanno che il meretricio si fonda sulla pecunia e non ha niente a che vedere con l'autorità e il godimento. La grazia della poesia non è quella cosa che ti crescono i capelli di nylon e prendi il viagra e ti fai tirare le pappagorge e allora sì che ce l'hai. Ricordiamo il ricchissimo e grande Empedocle, così superbo da credersi addirittura un dio: lui si gettò nell'Etna e ne rimase un sandalo – Berlusconi invece si fa costruire un vulcano di coccio nel giardino, lo accende per gli ospiti e gli piace per davvero. C'era Pericle e c'era Aspasia e c'era Fidia – a noi ci è toccato Silvio, Ruby, Fede e il bunga bunga - niente da fare, gli strumenti umani del presidente arrivano fino a qui.

Dicono che sia un uomo malato. E comunque, come scrive il rude Belpietro su Libero, “il vecchio porco” ha dalla sua per lo meno l'assenza di ipocrisia. Del resto anche un macellaio qualunque lo sa che è meglio la carne di vitellina di latte che quella di mucca, o no? Quindi, se è una malattia, la miseria di Silvio Berlusconi dev'essere per forza qualcosa di molto virulento e contagioso. Perché ne siamo infettati un po' tutti in fondo, non è vero Belpietro? E anche per questo Silvio Berlusconi vince gli appuntamenti elettorali, ne siamo sicuri, perché al popolo bue gli piace di più la vitellina che la mucca... Il ragionamento fila, pensa il signor Itchek. Però è un ragionamento soltanto apparente: dici mucca dici vitella di latte e dici anche vacca, e alla fine fai in modo che le donne siano considerate, ora e domani, carne da macello. E' questo il messaggio nemmeno troppo subliminale del premier e dei suoi linguacciuti leccaculo. Belpietro comunque stia tranquillo: l'accordo tra il popolo bue e il macellaio tiene. E poi i macellai, appunto, non scrivono poesie.

La grazia e il bello cos'hanno da spartire con le trippe? Bondi, purtroppo, non è Policleto, e nemmeno Apicella Orfeo. Certo, Silvio Berlusconi rimane il padrone del circo, ma quelli che vedi in giro non sono angeli volanti. Del resto, poverini, fanno del loro meglio. Non è che uno il buon gusto può inventarselo di sana pianta, e cosa puoi aspettarti da un nano? da un buffone? o da un tristissimo freak? Intanto tengono su il circo e fanno un po' di spettacolo. Molti di loro occupano i programmi televisivi e parlano parlano parlano, come se murassero le parole. Gustavo Zagrebelsky nel suo ultimo libriccino scrive “di una malattia degenerativa della vita pubblica che si esprime... in un linguaggio stereotipato e kitsch, proprio per questo largamente diffuso e ben accolto”. Sono loro e le loro parole. Ancora una degenerazione patologica - la malattia - ma questa volta si tratta della lingua che ci siamo scoperti a parlare. E raccontarci le cose per frasi fatte in un lingua banalizzata - attenzione! - è l'esatto contrario della poesia. Così tutto si tiene, conclude il signor Itchek. Anche con lo sputo.

Non bisogna abbandonarla l'analisi critica: il figuro che dirige quella bandaccia di stonati al governo, se lo guardi da una certa prospettiva capisci che è un poveruomo – la miseria di un uomo odioso e mediocre, lo definisce il signor Itchek. Ride e sgambetta, fa le corna, i cucù e i bausette, oltraggia dio la donna e la madonna... e se continua così a un certo punto tirerà fuori anche il pistolino. E' profondamente volgare e ridicolo. Guai a riderne comunque: l'ometto è pericolosissimo per tutti noi. Cominciare a sgretolare il suo mondo di cartapesta vuol dire cominciare a sgretolare le sue parole. In che modo? Così come fanno i poeti: al servizio di un linguaggio diverso dal suo, fuori dal suo limitato universo linguistico e dalla sua immaginazione-trippa. Guardandolo un'ultima volta attraverso queste parole poetiche e poi via dal nostro orizzonte, che si possa infine ritornare a vedere un po' di sole. E' difficile, si dice il signor Itchek, molto molto difficile. Ma è ancora possibile. Ci sarà pure un po' di luce alla fine della galleria!

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